IL TRIBUNALE Con decreto in data 21 dicembre 1979 il tribunale di Roma sottoponeva Natti Roberto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Cisternino; il decreto veniva notificato al Natti il 14 giugno 1983 nel carcere di Regina Coeli, dove egli era ristretto in quanto imputato di sequestro di persona ed altro. Con provvedimento del 18 luglio 1986 la custodia cautelare in carcere veniva sostituita con la custodia nel domicilio romano del Natti, in via dei Cappellari, n. 117. Con sentenza del 21 gennaio 1988 la corte d'assise di Roma assolveva il Natti, che il successivo 23 gennaio non veniva reperito al suo domicilio da agenti del primo distretto di Polizia, i quali, dopo ripetuti accessi, lasciavano nella sua cassetta delle lettere un invito a presentarsi "per notifica sua scarcerazione" (v. ff. 16 e 17 e biglietto prodotto dall'imputato al dibattimento). Con rapporto 5 febbraio 1988 il predetto ufficio di polizia denunciava il Natti per violazione dell'art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (modificata dalla legge 14 ottobre 1974, n. 497, art. 8 e 13 settembre 1982, n. 646, art. 12). A seguito di tale rapporto, il Procuratore della Repubblica in data 5 febbraio 1988 emetteva contro il Natti Ordine di Cattura con la seguente imputazione: "del delitto p. e p. dall'art. 9, secondo comma, della legge n. 1423/1956, cosi' modificata dall'art. 12 della legge n. 646/1982, perche', essendogli stata applicata con decreto del tribunale di Roma in data 21 dicembre 1979 la misura della sorveglianza speciale con abbligo di soggiorno nel comune di Cisternino (Brindisi), per la durata di anni due, ometteva di presentarsi presso la questura di Roma, una volta scarcerato dalla casa circondariale di Regina Coeli di Roma, per la prescritta elezione di domicilio, funzionale all'avvio del soggiorno obbligato. Reato commesso in Roma nel gennaio 1988. Con recidiva". Nella motivazione del provvedimento di cattura, si faceva riferimento alla prova evidente della sottrazione del Natti alla misura di prevenzione impostagli, consistente nella sparizione dalla sua abitazione proprio nel momento in cui avrebbe dovuto effettuare l'elezione di domicilio, propedeutica all'avvio al comune di soggiorno e comunque nel non essersi avviato al comune suddetto. Nel respingere la richiesta di riesame dell'ordine di cattura, il tribunale di Roma rilevava che nella specie ricorreva il reato contestato al Natti, in quanto l'obbligo di portarsi nel comune di soggiorno nasce in capo all'obbligato nel momento in cui gli e' comunicato il decreto che dispone la relativa misura; rilevava altresi' il tribunale che comunque il Natti non si era "in alcun modo attivato, come era suo preciso interesse, per recarsi nel piu' vicino posto di P.S. anche al fine di consentire la consegna in sue mani della carta di permanenza prescritta dall'art. 5 della legge n. 1423/1956". All'odierno dibattimento, cui veniva citato per rispondere del reato in epigrafe, il Natti deduceva, peraltro in contraddizione con quanto sostenuto nell'interrogatorio reso in istruttoria al p.m. (v. f. 27 retro), che egli, a seguito del biglietto di invito in data 23 gennaio 1988 relativo alla "notifica della sua scarcerazione", si era recato negli uffici del primo distretto di polizia; aggiungeva, ad integrazione dell'interrogatorio in sede istruttoria, che egli riteneva comunque che la misura di prevenzione, di cui non aveva saputo piu' nulla da quel lontano 1983 in cui gli era stata comunicata, fosse ormai decaduta a seguito delle sue vicissitudini giudiziarie e in particolare per una sorta di "fungibilita'" con la custodia cautelare ingiustamente patita; solo il 10 marzo 1988, quando l'autorita' di P.S. gli aveva consegnato la carta di permanenza ingiungendogli di raggiungere il comune di Cisternino (come da processo verbale che produceva in copia) si era reso conto di essere ancora soggetto alla misura di prevenzione, che peraltro non aveva potuto avere esecuzione, prima a causa delle sue condizioni di salute e poi per la sopravvenuta cattura. Precisava infine, in ogni caso, che egli, dopo la scarcerazione, non si era reso irreperibile, come dimostrava il fatto che al suo domicilio in via dei Cappellari, 117 gli era stato notificato a mani proprie, in data 5 febbraio 1988, un decreto di citazione a giudizio davanti alla corte di appello di Milano (di cui produceva copia). In sede di discussione la difesa dell'imputato prospettava, pur senza farne oggetto di esplicita eccezione, dubbi sulla legittimita' costituzionale della fattispecie prevista dall'art. 9 della legge n. 1423/1956 ove interpretata nel senso di farvi rientrare qualsivoglia condotta del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione, ivi compresa la non collaborazione nella fase di esecuzione, affidata al questore dall'art. 7 della predetta legge; concludeva quindi per l'assoluzione dell'imputato perche' il fatto non sussiste o non costituisce reato. Ritiene il tribunale che i dubbi di legittimita' costituzionale prospettati dalla difesa siano fondati. Stando alla "rubrica" dell'ordine di cattura (riprodotta nel decreto di citazione a giudizio) la condotta punibile contestata al Natti consiste soltanto nell'omessa presentazione all'autorita' di P.S. "per la prescritta elezione di domicilio, funzionale all'avvio al soggiorno obbligato". Tale impostazione dell'accusa, trova riscontro nel citato passo dell'ordinanza del tribunale del riesame in cui si fa riferimento al preciso "interesse" (dovrebbe intendersi "dovere" del Natti a recarsi negli uffici di polizia per consentire la consegna in sue mani della carta di permanenza. Cosi' configurata in fatto, ad avviso del tribunale potrebbe dubitarsi del fondamento dell'accusa, in relazione sia ai concreti profili della fattispecie e sia alla sua riconducibilita' alla astratta fattispecie criminosa. Dovrebbe anzitutto stabilirsi se il Natta, all'atto della scarcerazione nel gennaio 1988, era ancora consapevole del persistente vigore della misura di prevenzione inflittagli nel dicembre 1979 e comunicatagli nel giugno 1983, considerato che l'invito del 23 gennaio 1988 a presentarsi negli uffici di polizia (invito che egli ha ammesso al dibattimento di aver ricevuto) era motivato dalla notifica attinente alla sua scarcerazione e non gia' dall'avvio al soggiorno obbligato; dovrebbe poi stabilirsi se, come egli sostiene, si sia effettivamente recato negli uffici del primo distretto, che si sarebbero limitati a prendere atto del gia' avvenuto espletamento delle modalita' di scarcerazione ad opera dei carabinieri del nucleo di p.g. presso il tribunale. A tali dubbi in fatto, che porterebbero all'assoluzione del Natti per insufficienza di prove, si aggiungono fondate perplessita' in ordine alla qualificazione della condotta attribuita all'imputato come violazione degli "obblighi inerenti alla sorveglianza speciale" (art. 9 citato), perplessita' che il tribunale avrebbe il dovere di risolvere in via interpretativa, se esse non trovassero ragione nella genericita' della fattispecie criminosa, che non consente autentiche scelte ermeneutiche ma impone meri atti di discrezionalita' decisoria, in palese contrasto con il principio di stretta legalita' di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Quanto alla rilevanza, essa appare evidente, ove si consideri che l'eliminazione dall'ordinamento del complesso normativo costituito dai primi due commi del citato art. 9, o anche soltanto la eliminazione, per via interpretativa di rigetto, di quella "norma" - estraibile da tale complesso - che sanziona la condotta omissiva attribuita all'imputato, comporterebbe l'assoluzione di costui con formula piena (per insussistenza del fatto) e non gia' per insufficienza di prove. A conclusioni analoghe dovrebbe pervenirsi, anche se si volessero ritenere ricomprese nella contestazione dell'accusa - secondo una consolidata interpretazione dell'art. 477 del c.p.p., che ammette fonti di contestazione diverse dal capo di imputazione - altre condotte attribuite all'imputato, sulle quali egli e' stato interrogato dal p.m. in sede istruttoria. Come si e' visto, nella motivazione dell'ordine di cattura il p.m. attribuisce rilevanza alla "irreperibilita'" del Natti, nonche' al fatto che egli comunque non raggiunse il comune di soggiorno obbligato. Ed anche il tribunale del riesame, come pure si e' visto, fa riferimento all'obbligo immediato del Natti di raggiungere Cisternino, senza ulteriori mediazioni dell'attivita' di esecuzione da parte degli organi di polizia. Anche qui, in ordine alla "irreperibilita'" del Natti, a parte i profili soggettivi relativi alla consapevolezza del perdurare della misura di prevenzione, si versa in una situazione di insufficienza probatoria sul dato oggettivo, posto che a fronte degli inutili accessi degli organi di polizia nel domicilio del Natti, sta la prova di una coeva notifica a domicilio in mani proprie per atto di ufficiale giudiziario. Ma anche qui, l'assoluzione del Natti sarebbe ampiamente liberatoria (e non per insufficienza di prove) se la Corte dovesse riconoscere la illegittimita' costituzionale della norma denunciata. A sicura affermazione di sussistenza dell'elemento oggettivo del reato si perverrebbe invece, ove si ritenesse che rientra nella previsione dell'art. 9 l'omesso spontaneo raggiungimento del comune di soggiorno, essendo pacifico che il Natti non raggiunse Cisternino all'indomani della scarcerazione. P.m. e tribunale del riesame danno per scontata, come s'e' visto, tale opzione interpretativa; ed in effetti sembrerebbe ovvio che il mancato raggiungimento del comune designato dal decreto del tribunale integri una violazione degli "obblighi inerenti alla sorveglianza speciale" con corredo di "obbligo di soggiorno" (art. 9, primo e secondo comma). Senonche' tale interpretazione non e' affatto pacifica in giurisprudenza. Con riferimento alla originaria formulazione dell'art. 9, che sanzionava la violazione delle "prescrizioni del decreto di sorveglianza speciale", la Corte di cassazione, (Sezione I, 12 maggio 1972, in Cass. pen. mass. ann. 1973, p. 1436) ha ritenuto che "la contravvenzione a dette prescrizioni e' ipotizzabile solo dal momento nel quale esse sono operative, il che non accade ne' per la mera irrevocabilita' del provvedimento, ne' per la notizia che di questo sia, in modo qualsiasi, pervenuta all'interessato, ma per effetto dell'esecuzione che ad esso sia data nei modi previsti dalla legge speciale; la quale appunto prevede e disciplina una speciale forma di esecuzione (art. 7) affidata all'autorita' di pubblica sicurezza". Nella concreta fattispecie sottoposta al suo esame, la citata pronuncia della Corte di cassazione individua l'atto di esecuzione che condiziona l'insorgere della condotta punibile, nella reiterazione della comunicazione del decreto che dispone la misura di prevenzione. Ma da altre pronunce della stessa Corte potrebbe invece trarsi la conclusione che l'atto di esecuzione che si pone come presupposto della violazione del secondo comma dell'art. 9; consisterebbe nell'accompagnamento coattivo dell'obbligato nel Comune di soggiorno (cfr. sez. V, 5 giugno 1986, in Cass. pen. mass. ann. 1987, pag. 2213), sicche' l'elemento oggettivo del reato previsto dalla predetta norma si realizzerebbe soltanto con l'allontanamento dal comune stesso, al pari di quanto previsto dall'art. 5 della legge n. 575/1965 per l'allontanamento dal soggiorno obbligato delle persone indiziate di appartenere ad associazioni mafiose (cfr. sez. I, 20 marzo 1985, ivi, 1987, pag. 645). Come ben si vede, l'assunzione della "esecuzione" della misura a presupposto della condotta punibile, lungi dal fornire un elemento di identificazione della condotta stessa o dal conferire comunque un connotato di concretezza alla astratta fattispecie criminosa, ne amplifica la genericita', esaltandone il contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. La verita' e' che le incertezze giurisprudenziali non sono che la proiezione dell'incertezza della formula della legge, che non delinea con la necessaria concretezza gli elementi della condotta tipica, accollando al giudice un onere di ricostruzione della fattispecie punibile che esorbita dal suo normale compito di interpretazione. E se cio' accade, evidente e' la lesione del principio di stretta legalita' sancito dalla norma costituzionale sopra richiamata. Sotto altro profilo, va denunciato il contrasto dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 1423/1956 con l'art. 3 della Costituzione. Ove infatti si dovesse ritenere, come ritiene una diffusa prassi giurisprudenziale, che ad integrare la fattispecie criminosa prevista dalla citata norma sia sufficiente una condotta diversa dall'allontanamento dal comune di soggiorno obbligato, si verificherebbe una ingiustificata disparita' di trattamento tra le condotte punibili del soggiornante obbligato "semplice" e del soggiornate "mafioso", per il quale, come si e' visto, l'art. 5 della legge n. 575/1965 prevede la punizione (con pena identica a quella prevista dall'art. 9, secondo comma) soltanto in caso di "allontanamento abusivo dal comune di soggiorno obbligatorio". Concludendo, e in sintesi, ritiene il tribunale che sia fondato il sospetto di illegittimita' costituzionale: a) dell'art. 9, primo e secondo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modifiche, perche', in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, configura una fattispecie criminosa i cui elementi di identificazione non sono predeterminati dalla legge ma sono rimessi al potere discrezionale del giudice in misura esorbitante dal suo normale compito di interpretazione; b) dell'art. 7, primo comma, della stessa legge in quanto, concorrendo a configurare la fattispecie criminosa prevista nel citato art. 9, ne amplifica i caratteri di genericita' ed incertezza, incorrendo nello stesso vizio di illegittimita' costituzionale; c) del citato art. 9 perche', in contrasto con il principio di uguaglianza sancito nell'art. 3 della Costituzione, punisce irragionevolmente comportamenti che non sono invece sanzionati per soggetti che versano in condizioni analoghe in quanto sottoposti a misura di prevenzione ispirata ad identica ratio.